L'anima sostenibile
degli italiani
Nel 6° Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile
la parola chiave è cambiamento
A cura di Valentina Neri
Milioni di ragazzi che scendono in piazza, da Milano a Sydney, da Tokyo a Berlino, per chiedere con una sola voce di salvare il Pianeta. La ragazza appena adolescente che ha dato vita a questo movimento globale, Greta Thunberg, invitata ad arringare platee di capi di stato, industriali e diplomatici. La Commissione europea che decide di mobilitare mille miliardi di euro in dieci anni per finanziare la transizione verde del Vecchio continente. Poi, improvvisamente, un virus invisibile ha scosso alle fondamenta le nostre vite. Tutti ci siamo trovati ugualmente esposti e vulnerabili, indipendentemente dal luogo in cui viviamo o dal nostro stato di benessere economico. Se molti hanno pagato un prezzo particolarmente doloroso, perdendo una persona cara, tutti gli altri hanno comunque dovuto sospendere a tempo indeterminato certe libertà che sembravano naturali, intoccabili. Come salire a bordo di un treno, andare al lavoro, abbracciare un familiare o un amico.

Ferruccio de Bortoli, giornalista e scrittore
Ai governi spetta il compito di garantire la tenuta del sistema sanitario, alla scienza quello di trovare un vaccino. A tutti noi, nessuno escluso, la responsabilità di trasformare questo shock in una nuova consapevolezza. Non esistono barriere tra l’uomo, la natura e l’economia. E tutti i progressi che abbiamo conquistato nel corso della storia non devono farci sentire superiori e invincibili, come abbiamo erroneamente creduto troppo a lungo. Al contrario, ci devono aiutare a inserirci in modo armonico in questo sistema interconnesso da cui dipende la nostra stessa sopravvivenza.
È proprio questo il significato della sostenibilità, una dimensione che è tornata a far parte di noi, ora più che mai. Dopo essere stata liquidata troppo a lungo come un vezzo da intellettuali, ha guadagnato il ruolo che si merita. Entrando a far parte del nostro vocabolario quotidiano, delle strategie delle aziende, dei piani programmatici dei governi.
1. La lunga marcia della sostenibilità
Se dobbiamo scegliere un anno di nascita per il concetto di sostenibilità, è il 1987, quello in cui la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (Wced) pubblica il rapporto Our Common Future, noto come Rapporto Brundtland. Facendo leva su una lunga disamina delle sfide che attendono l’umanità, la Commissione mette nero su bianco questa definizione:
Rapporto Brundtland
Banale? Tutt’altro. Soprattutto all’epoca. Bruciare gasolio per riscaldare una casa soddisfa alla perfezione le necessità di chi ci abita, così come bere un sorso d’acqua da una bottiglia di plastica. Ma tutti questi gesti creano un danno, e a subirlo sarà qualcuno che in questo momento ancora non si può difendere. A pensarci bene, questo cambio di prospettiva è rivoluzionario.
Nelle pagine del rapporto si legge anche che il benessere delle persone comprende anche “variabili non economiche come l’istruzione e la salute, valide di per sé, l’acqua e l’aria pulite e la protezione delle bellezze naturali”. O ancora, che governi e industrie devono inserire “considerazioni relative a risorse e ambiente” nelle loro strategie e nei loro processi decisionali.
La storia ci giudicherà per quello che facciamo oggi. Le future generazioni devono godere dello stesso Pianeta vivibile che abbiamo chiaramente dato per scontato.
Leonardo DiCaprio
Gli esempi di carattere ambientale sono i più immediati, ma non bastano. Un Pianeta sano è anche un Pianeta in cui tutti hanno accesso a educazione, salute, giustizia, prosperità, crescita. Insomma, la sostenibilità (quella vera) è anche sociale ed economica. Se questi propositi possono sembrare astratti, ci pensano le Nazioni Unite a tradurli prima negli otto Obiettivi di sviluppo del millennio (validi dal 2000 al 2015 e raggiunti solo in parte) e poi nei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) che ci guideranno fino al 2030.
È una sfida colossale e densa di incognite.
Ma la possiamo vincere.
Lo assicura l’Onu, e le fanno eco tutte le istituzioni, le aziende, le organizzazioni che cercano di dare un contributo positivo agli Sdgs. Certo, è una transizione che impiegherà parecchio tempo e tanto, tantissimo denaro – circa 4.500 miliardi di dollari l’anno, secondo la Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad). Ma non abbiamo altra scelta.
2. Dai problemi alle soluzioni: l’Italia si impegna a cambiare
2018
Riscaldamento globale
29 ottobre 2019
Tempesta Vaia
15 maggio 2019
Overshoot Day
12 novembre 2019
Acqua alta a Venezia
Limitarsi a evocare la straordinarietà di fatti che si affacciano prepotentemente, per giustificare noncuranza verso una visione e progetti di più lungo periodo, è un incauto esercizio da sprovveduti. […] Mai come in occasione della tempesta Vaia è stato chiaro all’opinione pubblica italiana che i mutamenti climatici in atto nel mondo comportano effetti pesanti anche sull’ambiente del nostro Paese e sulle condizioni di vita della nostra popolazione.
Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana
Questi episodi clamorosi ci stanno incoraggiando a rimboccarci le maniche. Per intervenire quando l’emergenza è conclamata, ma anche per fare prevenzione e cultura. Già dal 2013 l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha smesso di misurare il progresso del paese unicamente sotto la lente dell’economia, elaborando un nuovo indice che affianca il prodotto interno lordo (pil, il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un certo periodo). Si chiama Benessere equo e sostenibile (Bes) ed è costituito da dodici dimensioni – tra cui la salute, il paesaggio, le relazioni sociali, l’innovazione – che descrivono a tutto tondo la qualità della vita.
Se lo sviluppo economico non ci rende anche felici, allora è un falso sviluppo
José Pepe Mujica, ex-presidente dell’Uruguay
Anche nelle sedi istituzionali, in sintesi, si inizia ad ammettere che lo sviluppo non può più essere sordo alle esigenze del territorio e della società. Il principio sancito dal rapporto Brundtland, che trent’anni fa appariva pionieristico, ora è sempre più condiviso. A dicembre 2019 la Camera dei deputati ha finalmente dichiarato l’emergenza climatica e a settembre i cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile entreranno nei programmi didattici delle scuole.
3. Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile
I risultati si toccano con mano. Nel 2020 il 38 per cento degli italiani si dichiara appassionato al tema della sostenibilità e un altro 34 per cento si dice interessato. Complessivamente, possiamo quindi dire che 36 milioni di italiani (su 50,6 milioni di maggiorenni) si sentono coinvolti,
una cifra quasi raddoppiata rispetto al 2015, quando erano “appena” 21 milioni. Sono i dati più significativi emersi dall’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, che per il sesto anno consecutivo LifeGate ha affidato a Eumetra MR.
ANNO 2015
ANNO 2016
ANNO 2017
ANNO 2018
ANNO 2019
ANNO 2020
I più preparati, sensibili e proattivi sono proprio i ragazzi che in più occasioni sono scesi in piazza per urlare il loro “no” al carbone, al petrolio, a chi pensa solo ai profitti immediati senza curarsi delle conseguenze. A chi li bolla come idealisti e sognatori, gli attivisti dei Fridays for Future rispondono con i fatti. È grazie a una loro mozione se lo scorso 20 maggio Milano è stata la prima metropoli italiana a dichiarare ufficialmente l’emergenza climatica e ambientale. Anche nella vita quotidiana, i più giovani si stanno dimostrando capaci di dare il buon esempio. Su pressoché tutte le dimensioni monitorate dalla ricerca, infatti, la cosiddetta Generazione Z (18-24 anni) “batte” sistematicamente quella dei genitori e dei fratelli maggiori.
Enea Roveda, Amministratore Delegato Gruppo LifeGate
Il vocabolario della sostenibilità
Piena conoscenza
4. Sono passati vent’anni
Era difficile immaginarsi numeri del genere quando LifeGate ha mosso i suoi primi passi, esattamente vent’anni fa. Il punto di partenza era l’esperienza della famiglia Roveda nel settore del biologico; l’ambizione era quella di costruire il primo network internazionale di informazione e servizi per persone, aziende, ong e istituzioni impegnate per un futuro sostenibile. Oggi LifeGate aiuta le imprese a diventare più sostenibili mediante i suoi servizi di consulenza, comunicazione strategica e progetti ambientali. Al tempo stesso, informa e intrattiene giorno dopo giorno una community di oltre sei milioni di persone che seguono il network formato da sito, radio e social media.
L’Osservatorio prende vita in un momento che è stato un vero e proprio spartiacque: il 2015, l’anno in cui Milano ha ospitato l’Expo, l’esposizione universale dedicata alla nutrizione e al cibo. Proprio mentre i riflettori erano puntati sulle idee più innovative per un futuro sostenibile, questo progetto ha lanciato alcune domande: al di fuori della nicchia degli addetti ai lavori, quanto è conosciuto il vocabolario della sostenibilità? Qual è l’atteggiamento dei nostri connazionali? I loro comportamenti stanno davvero cambiando? Le risposte sono fatte di statistiche e cifre e, di edizione in edizione, hanno riservato parecchie sorprese.
Gli italiani intervistati dall’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile


ETÀ
18 - 25
25 - 34
35 - 44
45 - 54
55 - 64
65 e più
RESIDENZA

ISTRUZIONE
Laurea/post-laurea
Media superiore
Media inferiore
Nessuno/elementare
POSSESSORI DI ANIMALI
Ha animali
Non ha animali
OCCUPAZIONE
Dirigente/Imprenditore
Lavoratore in proprio
Impiegato/Insegnante
Operaio/Commesso/Usciere
Casalinga
Studente
Pensionato
In cerca di occupazione
Nel 2020 l’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile si rinnova nella forma e diventa un prodotto sempre più digitale. In un periodo in cui la popolazione si trova ad affrontare sfide inedite e modificare il proprio approccio alla vita di tutti i giorni, LifeGate decide così di dare una risposta concreta alla sempre maggiore richiesta di approfondimenti informativi validi, chiari e costruttivi. Un modo per ripartire con consapevolezza, per il bene di tutti e del nostro Pianeta.
5. Il clima diventa il primo pensiero degli italiani
TEMA SENTITO
Si tratta davvero di una cosa molto sentita, di uno stile di vita che si sta diffondendo.
MODA
Si tratta più che altro di una moda, qualcosa che oggi come oggi è più dichiarato che davvero sentito.
INDECISO
Varcata la soglia di questo nuovo decennio, scettici e indecisi appaiono come una minoranza sempre più sparuta. Tutti gli altri vanno alla ricerca di informazioni, chiarimenti, consigli. E la loro preoccupazione numero uno è il clima. È quasi impossibile, d’altra parte, restare indifferenti alle immagini drammatiche che arrivano da ogni angolo del Pianeta.
Per sconfiggere la crisi climatica non basta essere sensibili e avere voglia di fare, ma è importante che venga accompagnata la transizione dell’imprenditoria verso una migliore gestione ambientale con minori emissioni climalteranti.
Marisa Parmigiani, Responsabile della Sostenibilità Gruppo Unipol
76 italiani su 100 danno ragione agli attivisti di Fridays for Future: il clima è la prima emergenza globale e dev’essere considerato come tale, a tutti i livelli. È peculiare notare come le manifestazioni studentesche non facciano altro che replicare, con un linguaggio più immaginifico e colorato, ciò che si sostiene anche in contesti ben più formali. Come il World Risk Report stilato dal World economic forum, che quest’anno ha messo il clima in cima alla lista delle minacce che l’umanità dovrà affrontare nel prossimo decennio. È la prima volta che succede.
Conosce l'espressione
“Crisi climatica”
Popolazione
Generazione Z
Conosce l'espressione
“riscaldamento globale”
Popolazione
Generazione Z
Anno di riferimento 2020
6. Tutte le dimensioni dello stile di vita sostenibile
È arrivato il momento di esplorare più da vicino le risposte che noi italiani abbiamo dato alla ricerca di LifeGate.
Tenendo sempre in mente una considerazione di base: non è un caso se l’Osservatorio indaga “lo stile di vita sostenibile”, e non “i consumi” o “gli acquisti” in senso stretto. La sostenibilità infatti è il filo conduttore di una lunga serie di scelte e azioni quotidiane, di cui l’acquisto puro e semplice è solo una delle innumerevoli manifestazioni. Questo principio è ancora più valido da quando si sono affermati nuovi modelli – fra tutti, la sharing economy – che mettono il servizio in primo piano rispetto al prodotto. Di anno in anno, LifeGate ha cercato di capire come gli italiani mangiano, viaggiano, si spostano, si vestono, arredano la loro casa, investono il loro denaro. Invitandoli a scegliere la strada più rispettosa degli equilibri del Pianeta.
Jane Goodall, etologa
7. Gli italiani portano in tavola la sostenibilità
Mangiare è l’azione quotidiana per eccellenza. Alimentarsi in modo sostenibile significa per esempio riscoprire il piacere di sbizzarrirsi ai fornelli, evitando di cedere alle lusinghe delle pietanze confezionate, spesso stracolme di amidi raffinati, zuccheri e grassi.
Luca Morari, Vice President Southern Europe Ricola & CEO Divita
Meglio ancora se si mettono in tavola ingredienti biologici. Nel 2018 il 7,5 per cento della superficie agricola europea era certificata o in conversione, con un aumento del 34 per cento in appena sei anni. Arrivare al 20 per cento equivarrebbe a tagliare quasi 100 milioni di tonnellate di CO2, pari alle emissioni annuali dell’Austria. Il nostro Paese è una punta di diamante, con una superficie coltivata a biologico di quasi 2 milioni di ettari, equivalenti all’estensione della Puglia. Per ogni ettaro bio si risparmia il 58 per cento delle emissioni; per ogni chilogrammo di raccolto, il 60 per cento.
Se il settore funziona, è anche perché viene apprezzato: secondo l’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, il 21 per cento dei nostri connazionali consuma alimenti bio e il 44 per cento si dichiara disposto a spendere qualche euro in più pur di metterli nel carrello o di ordinarli al ristorante. Stesso discorso per frutta, verdura e altre pietanze a km zero: il 29 per cento degli italiani le mangia regolarmente, per il 36 per cento è corretto pagarle di più. Secondo Luca Morari, Vice President Southern Europe Ricola & CEO Divita, è un’ottima notizia. Innanzitutto perché i metodi naturali in agricoltura tutelano la biodiversità e gli insetti impollinatori. Con le loro scelte di acquisto sempre più nette e ragionate, inoltre, consumatori stanno obbligando le aziende a spostarsi in questa direzione


Un altro piccolo sacrificio, capace di incidere tantissimo sul benessere animale e sulle emissioni di gas serra, è quello di ridurre o evitare la carne. L’Osservatorio ci conferma che quasi un terzo degli italiani sta andando in questa direzione (e in prima linea ci sono le donne), anche se solo il 3% si può dire vegetariano o vegano.
8. La lotta allo spreco alimentare segna i suoi primi traguardi
Scegliere con attenzione gli ingredienti però serve a ben poco, se poi gli avanzi vengono sistematicamente gettati nel cestino senza pensarci due volte. Finalmente, questo inizio di 2020 porta con sé un’ottima notizia: in Italia i volumi dello spreco alimentare appaiono in netto calo, per la prima volta in dieci anni, con un valore complessivo che passa da 8,4 a 6,5 miliardi di euro. Lo rivela l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg.
Non è ancora tempo di abbassare la guardia, però, perché c’è molto lavoro da fare in termini educativi. Si tratta infatti di una questione prettamente culturale, come dimostra il fatto che sei italiani su dieci si vergognano di chiedere la doggy bag al ristorante, pur avendone diritto. Tra le mura domestiche, invece, le famiglie buttano nella spazzatura una media di 4,91 euro alla settimana (l’anno scorso andava decisamente peggio con 6,6 euro a settimana, equivalenti a 600 grammi di cibo).
Comprare cibo e non consumarlo significa mandare in fumo il lavoro di chi l’ha coltivato o allevato, trasformato, confezionato, trasportato fino allo scaffale, cucinato. Con tutto ciò che ne consegue in termini economici e ambientali. Spesso, però, si tralascia un tassello: sprecare cibo significa anche sprecare plastica. Quella plastica verso la quale i nostri connazionali si mostrano sempre più insofferenti, a tutti i livelli.
Monica Paoluzzi, Direttore Marketing JustEat
Il 91% degli italiani
considera necessario attivare azioni che limitino il consumo di plastica per imballaggi e pack e supportino l'utilizzo di materiali biodegradabili.
Il 90% della popolazione
ritiene che le aziende debbano attivarsi nella produzione di imballaggi e pack ecocompatibili.
9. L’economia circolare entra nelle case
A pensarci bene, la disinvoltura nel buttare cibo e confezioni è un anello di una catena molto più lunga. Tutti noi siamo cresciuti nella convinzione che fosse assolutamente normale comprare prodotti nuovi, usarli per un certo periodo e poi buttarli via, senza soffermarci troppo al pensiero di quante risorse naturali erano state sfruttate per fabbricarli. È tutt’altro che banale sradicare abitudini così consolidate. Eppure, passo dopo passo, l’economia circolare sta facendo breccia nella nostra quotidianità con i suoi quattro imperativi: riduci, riusa, ripara, ricicla.
È ancora presto per cantare vittoria, ci ha ricordato di recente l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Nel 2018 infatti la produzione di rifiuti urbani è addirittura aumentata sfiorando una media di 500 chili pro capite (+2,2 per cento rispetto all’anno precedente). Buone notizie invece sul fronte della raccolta differenziata, che negli ultimi dieci anni ha fatto un salto in avanti di tutto rispetto: è passata dal 35,3 al 58,1 per cento del totale dei rifiuti o, per ragionare in termini di quantità, da 9,9 a 17,5 milioni di tonnellate.
Fa sempre la raccolta differenziata in casa:
10. L’acqua, una risorsa da tutelare e gestire al meglio
Per alleggerire i bidoni della spazzatura, il primo passo è quello di aprire il rubinetto invece di fare scorta di acqua in bottiglia. Di per sé è un gesto semplicissimo, ma sei italiani su dieci ancora si mostrano un po’ titubanti all’idea. Lorenzo Tadini, Direttore Commerciale BWT, ci aiuta a capire il motivo di queste diffuse resistenze.
Il 40% degli italiani limita spesso l’utilizzo di bottiglie di plastica utilizzando acqua del rubinetto
Lorenzo Tadini, Direttore Commerciale BWT
Per fortuna gli erogatori di acqua sono sempre più comuni non solo nelle case private, ma anche in ristoranti, mense e aziende. Senza dimenticare le classiche casette dell’acqua disseminate nel territorio. Soluzioni particolarmente apprezzate soprattutto dai giovani, che si mostrano profondamente consapevoli del valore dell’acqua.
11. Le tecnologie al servizio dell’energia, pulita e preziosa
Fin dalle prime edizioni dell’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, l’energia è uno dei temi che più hanno convinto gli italiani. Difficile, d’altra parte, restare indifferenti alla cavalcata delle fonti rinnovabili. Nell’arco di un decennio la capacità installata nel mondo è quadruplicata e gli investimenti in nuova capacità installata hanno sfiorato i 2.500 miliardi di euro. Come risultato, nel 2018 il 12,9 per cento dell’energia elettrica è stata prodotta dalle fonti pulite, evitando di avvelenare l’atmosfera con 2 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2.
Per un Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, che vuole il revival del carbone e dà il via libera alle trivelle nei paradisi naturali, ci sono migliaia di aziende e investitori che finanziano la transizione energetica. E milioni di persone che considerano il carbone e il petrolio come retaggi di un passato di cui dobbiamo sbarazzarci al più presto.
È d’accordo con quest’affermazione:
“Investire nelle fonti rinnovabili è un buon modo per rilanciare la nostra economia, innovare e renderci più autonomi dal petrolio”
Dialogando con i cittadini si nota una generale volontà di fare qualcosa di concreto, a partire dalla propria casa. Come cambiare fornitore di energia elettrica, preferire gli elettrodomestici a basso consumo, rimpiazzare le vecchie lampadine con quelle a led, sostituire la vecchia caldaia.
Gherardo Magri – Amministratore Delegato Vaillant Group Italia
A catturare la curiosità delle nuove generazioni soprattutto i sistemi di smart home, che permettono di tenere sotto controllo temperatura e consumi direttamente dallo smartphone.
12. Viaggiare e divertirsi, ma senza distruggere
Andare in vacanza significa staccare la spina, dimenticando per qualche giorno preoccupazioni e scadenze. Ciò non significa, però, lasciarsi alle spalle anche le buone abitudini. Il concetto di turismo sostenibile nasce proprio da questa considerazione. Un viaggiatore responsabile cerca di preservare i territori e migliorare il benessere dei loro abitanti; si diverte, ma senza distruggere. Preferisce il treno all’aereo, si adatta alla cultura locale, sceglie un alloggio costruito con criteri ecologici.
Giovanna Manzi, CEO BWH Hotel Group – Best Western
Fino a cinque anni fa, solo una sparuta minoranza dei nostri connazionali conosceva questa filosofia. Oggi sono 7,5 milioni quelli che dichiarano di viaggiare sempre con un approccio sostenibile, soprattutto tra i più giovani. A detta di Giovanna Manzi, CEO BWH Hotel Group – Best Western, la differenza tra generazioni si nota soprattutto in termini di coerenza. In vacanza sono soprattutto gli adulti a mostrare una certa tendenza a “lasciarsi andare”; per i ragazzi, invece, le buone pratiche sono molto più spontanee.
Conosce il turismo sostenibile
Acquista una vacanza sostenibile anche se costa di più
Organizza sempre vacanze sostenibili
13. Muoversi non è più un fattore privato
Alla vigilia di Expo 2015 soltanto 16 italiani su 100 sapevano descrivere il risultato di “mobilità sostenibile”. Più di quattro su dieci erano d’accordo con l’idea di limitare il traffico in città per i mezzi a motore (come prevedeva l’Area C a Milano) e di togliere spazio alle auto per ricavare piste ciclabili, ma altrettanti lamentavano i disagi che ne sarebbero derivati per i cittadini. Soltanto una minoranza guardava con curiosità alla mobilità elettrica, che allora appariva ancora in fase embrionale.
Dati Osservatorio LifeGate 2020
Dati Osservatorio LifeGate 2020
Dati Osservatorio LifeGate 2020
Da allora sono cambiate tante cose. Nelle città sono comparsi gli sharing di auto, bici, scooter e monopattini, che permettono a chiunque di salire a bordo di un mezzo e usarlo soltanto per il tragitto necessario, spendendo una manciata di euro e (nel caso dei sistemi a flusso libero) parcheggiandolo esattamente all’indirizzo di destinazione. Secondo il terzo Rapporto nazionale sulla sharing mobility, nel 2018 in Italia si contavano 363 servizi di questo tipo, per un totale di oltre 46mila veicoli condivisi. E il potenziale di crescita è ancora enorme, fa notare Stefano Virgilio, Responsabile Comunicazione OPEL Italia. Il prossimo passo sarà quello di estendere tali servizi anche ai piccoli centri, dove vivono nove italiani su dieci.
I sistemi di mobilità urbana sono sempre più integrati, e lo dobbiamo tanto alla lungimiranza delle istituzioni, quanto alla frenetica evoluzione delle nuove tecnologie. Per una larga fetta della popolazione, soprattutto nei grandi centri, ormai la prassi è quella di impostare nello smartphone l’indirizzo di destinazione e scegliere il modo ottimale per raggiungerlo, passando dal tram al monopattino e vedendosi scalare la tariffa direttamente dalla carta di credito.
Nel frattempo, la mobilità elettrica ha fatto passi da gigante. Fino a qualche anno fa, solo i più visionari ci avrebbero scommesso. Invece siamo arrivati a un 2020 in cui (secondo le stime diffuse al Salone di Francoforte) in Europa sarà venduto un milione di auto elettriche e ibride plug-in, cioè il 5 per cento del totale. Una percentuale destinata a raddoppiare l’anno successivo.
Non è passato troppo tempo dall’epoca in cui il rombo del motore a gasolio e i sedili in pelle erano uno status symbol pressoché universale. Oggi una fetta più larga degli italiani – soprattutto tra i più giovani – ci pensa due volte prima di mettersi al volante di un’auto inquinante, visto che esistono così tante alternative valide.
Il listino non è l’unico elemento che rappresenta il costo reale di utilizzo di una vettura: l’auto elettrica costa meno in termini di assicurazione, manutenzione e rifornimento dell’energia.
Stefano Virgilio, Responsabile Comunicazione OPEL Italia
Dati Osservatorio LifeGate 2020
Dati Osservatorio LifeGate 2020
14. La sostenibilità sfila in passerella
Compra meno, scegli meglio e fallo durare
Vivienne Westwood, stilista
Se c’è ancora qualcuno convinto del fatto che salvaguardare l’ambiente sia un sacrificio, la risposta migliore arriva dall’ambito trendy per eccellenza: quello della moda. Brand del calibro di Prada, Gucci e Michael Kors hanno fermato la produzione di pellicce, che non possono nemmeno più varcare la soglia della London fashion week. Nelle collezioni fanno capolino sempre più spesso le fibre naturali come il lino, la cui coltivazione richiede una quantità minima di acqua e sostanze chimiche inquinanti.


Per ora l’acquisto di capi definiti “naturali” o “sostenibili” è ancora una prerogativa dei segmenti più sensibili della popolazione, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che nel 2030 la moda sarà molto diversa. Più ancora che dai prodotti, è dai modelli di business che dobbiamo attenderci le evoluzioni più intriganti. Pensiamo per esempio al potere della blockchain di tracciare in modo fedele e trasparente la filiera di ogni singolo capo, dalla fibra tessile alla vetrina. Oppure ai sistemi di renting e sharing, che stanno prendendo piede facilmente. Tra non molto sembrerà una follia sborsare centinaia di euro per aggiudicarsi l’outfit giusto per un’occasione speciale, con la prospettiva di lasciarlo abbandonato in fondo all’armadio per chissà quanti mesi. Sarà molto più comodo, economico ed ecologico noleggiarlo soltanto per il lasso di tempo necessario.
Le aziende, insomma, fanno del loro meglio per dare risposte credibili alle domande dei loro pubblici. Quando non si limitano più a reagire ma si sforzano di anticipare i tempi, il loro ruolo cambia. E diventano attiviste.

15. Le imprese responsabili hanno una marcia in più
Ormai è chiaro che la sostenibilità è una necessità, un requisito per affrontare la transizione epocale che stiamo vivendo. Questo racconto a più voci ha tre grandi protagonisti: cittadini, istituzioni e imprese.
La trasformazione che ci si prospetta è senza precedenti e avrà successo solo se è giusta e va a beneficio di tutti. Sosterremo le popolazioni e le regioni chiamate a compiere gli sforzi maggiori affinché nessuno sia lasciato indietro
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea
A lungo la prospettiva del cambiamento è stata temuta e allontanata, dando per scontato il fatto che “spegnere” o riconvertire i settori più inquinanti comportasse un inevitabile sacrificio per l’economia e i posti di lavoro. Nell’annunciare i dettagli del Green deal, la Commissione europea è stata molto chiara: dimentichiamoci questo preconcetto. Le cose non andranno così.
Ma c’è di più, perché la sostenibilità diventa anche un fattore competitivo. Gli italiani, infatti, ormai sanno bene come distinguere le aziende responsabili da tutte le altre. E sono pronti a premiarle con i loro acquisti, o addirittura con le loro scelte di carriera. Otto millennial su dieci sarebbero disposti ad accontentarsi di uno stipendio nella media, pur di lavorare per un’impresa che rispetti l’ambiente e applichi politiche concrete di responsabilità sociale (Csr).
Non c’è da stupirsi, dunque, se sono sempre di più le imprese che decidono di documentare nelle pagine del report di sostenibilità i loro passi avanti in materia ambientale e sociale. Oppure di modificare il proprio statuto societario dichiarando di voler influire positivamente sul benessere della società e del territorio – e impegnandosi a misurare questo impatto. Tutto questo, senza venir meno alla ricerca del profitto. Così facendo diventano benefit corporation, un gruppo di cui fa parte anche LifeGate.
Per le imprese responsabili diventa molto più facile anche reperire capitali sui mercati finanziari. Attualmente, quasi 31mila miliardi di dollari vengono investiti prendendo in considerazione i criteri Esg (ambientali, sociali e di governance); una cifra che fa un balzo in avanti del 34 per cento in soli due anni. È quanto emerge dall’ultimo report della Gsia (Global sustainable investment alliance), l’unico a riunire i dati di Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. L’epicentro della finanza sostenibile è proprio la nostra Europa, che da sola copre quasi la metà di questo immenso volume di asset.
Scendendo più nel tecnico, si scopre che le possibili strategie sono tante e diverse tra loro. Il principio alla base, però, è molto chiaro. Banche, assicurazioni e fondi pensione – così come i singoli risparmiatori – si sono sempre prefissati l’obiettivo di incassare un rendimento e devono continuare a farlo, perché è la loro mission. Quando costruiscono il loro portafoglio di investimenti, però, hanno anche un enorme potere: quello di sostenere aziende e Stati capaci di cambiare in meglio il mondo in cui viviamo.
16. In questo decennio si gioca il futuro del clima
Jonathon Porritt, ambientalista
Fare il punto sulla strada percorsa finora regala sempre proficui spunti di riflessione. E, perché no, è anche l’occasione per festeggiare i traguardi raggiunti. Ma ciò non significa prendere sottogamba le sfide epocali che si stagliano di fronte a noi.
L’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) l’ha detto chiaro e tondo: se non abbatteremo a tempi record le emissioni di gas serra, già tra il 2030 e il 2052 le temperature medie globali aumenteranno di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Continuando su questo passo, rischiamo di sfondare la barriera dei +3 gradi entro la fine del secolo.
Quando è esplosa la pandemia da coronavirus, abbiamo pressoché azzerato i contatti sociali nel tentativo di appiattire la curva del contagio. All’improvviso ci siamo trovati tutti alleati in una sfida che si decide sul “qui e ora”: ogni giorno di distanziamento sociale è un giorno che dà respiro al sistema sanitario e permette di salvare vite umane.
I tempi dell’emergenza climatica sono diversi, perché non si misurano in giorni ma in anni, ma la lezione che abbiamo imparato resta pienamente valida.
Ci siamo già dimostrati capaci (a livello personale, collettivo e istituzionale) di unire le forze per il bene comune, mettendo tutto il resto in secondo piano. D’ora in poi dobbiamo mostrare la stessa tempra, lo stesso spirito di sacrificio e la stessa determinazione anche quando il nemico che abbiamo di fronte – anch’esso invisibile ed epocale – è la curva delle emissioni di gas serra. Abbiamo anche una freccia in più al nostro arco: mentre per il virus bisogna sviluppare un vaccino, per la crisi climatica sappiamo già perfettamente quali sono le soluzioni. Serve solo la volontà di applicarle su vasta scala.
Sostenibilità e sviluppo vanno di pari passo, soprattutto dopo questa emergenza sanitaria che ha imposto al mondo intero di fermarsi e riflettere.
Daniele Manca, Vice Direttore Corriere della Sera
Per riassumere, in questo decennio ci giochiamo tutto. Possiamo invertire la rotta, oppure procedere verso la catastrofe climatica. È una battaglia che ci coinvolge tutti allo stesso modo, dai colossali flussi finanziari fino ai singoli cittadini.
Quando abbiamo l’impressione che in fin dei conti le nostre scelte quotidiane non contino granché, è a questo che dobbiamo pensare. Per riprendere le parole di Greta Thunberg, “nessuno è troppo piccolo per fare la differenza”.